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Giocare con l’arte. Da un’esperienza di Guernica

Giocare con l’arte. Da un’esperienza di Guernica
a cura della dott.ssa Anna Torelli

Il gioco è sempre stato rappresentato dagli artisti di tutti i tempi per le sue caratteristiche di casualità e precarietà, riscoprendo e valorizzando le dimensioni dell’inconscio e della fantasia.

Con il gioco nell’opera d’arte si mette in discussione la regola costituita, si pone una voce critica al sistema, si mette in allarme un fruitore, ci si disconnette, si scuote chi guarda, osserva… non c’è nulla di rassicurante. L’arte è libera e disinteressata e questi fattori – sottolineava Immanuel Kant – sono in comune con il gioco (Kant, 2011).

Il gioco non è un interesse materiale, non produce vantaggi, ma suscita rapporti sociali che circondano il mistero o sono diversi dal mondo solito. Il gioco non è uno strumento, ma un sistema di pensiero in cui l’arte diventa imprevista. “Il gioco o il giocattolo devono essere stimolatori dell’immaginazione, non devono essere conclusi o finiti (come certi modellini perfetti di macchine vere) perché così non permettono la partecipazione del fruitore”, diceva Bruno Munari nel 1981, portando come esempio la struttura di metallo vuota che può essere liberamente completata con l’inserimento di letti, biciclette, peluche o giocattoli (Munari, 2022). Il suo pensiero ci riporta ai Mobile di Calder, ancora prima a Duchamp con la sua Boite en Valise o ai dipinti di Paul Klee, a Mirò, a Magritte, a Léger con il suo Cirque… e ancora ai Futuristi, ai Cubisti, a Picasso…

Anni fa ero a Madrid per andare al Museo Nacional Centro Arte Reina Sofia per vedere il maestoso quadro di Guernica. La storia e l’importanza del quadro mi erano presenti, angoscianti, sapevo che era stato dipinto da Picasso in meno di un mese per poi esporlo nel padiglione spagnolo dell’esposizione universale di Parigi del 1937. Sapevo che l’ispirazione era dell’ultimo momento e solo dopo il bombardamento di Guernica durante la guerra civile spagnola, lui voleva far conoscere le atrocità della guerra fratricida in corso e dell’operazione atroce contro la popolazione civile. Fu distrutta la città basca nell’incursione aerea.

Nel salone si sente il brusio di scolari seduti per terra che guardano il dipinto, avranno sette o otto anni. Sono accoccolati uno vicino all’altro, si proteggono composti. I loro insegnanti li dividono in gruppi, poi mostrano loro delle foto. Sono i particolari del dipinto, li invitano a trovarli nel quadro. C’è la testa del cavallo, il toro, la luce elettrica, la candela, la madre con il bambino. I bambini trovano i vari soggetti, cominciano a descrivere i vari particolari a spiegare il perché secondo loro delle varie posizioni, degli sguardi di fronte e di lato, il tema della guerra, la paura, le bombe e il pianto… Uno dice che vede una finestra aperta con un po’ di luce perché è buio dentro, è scuro il quadro e fa paura. La luce lo rassicura. “Anche la mamma ha la candela in mano!” dice un altro. “Hai visto come gira gli occhi il toro? Lo faccio pure io quando sono arrabbiato”.

Poi inizia il gioco della ricomposizione. Ciascun gruppo ha la fotografia di un particolare del quadro. Su un grande foglio già preparato inseriscono le varie foto e controllano attenti la posizione. Il gioco li fa bisbigliare. Ogni gruppo è pronto per inserire la propria foto, provare insieme, incollare, rimettere insieme i pezzi della storia… Poi, un altro gioco. Gli insegnanti consegnano dei fogli bianchi e delle matite e ognuno disegna un frammento del dipinto. Questa volta la scelta è personale.

Sono riuscita a reggere lo sgomento del quadro grazie ai piccoli e alle loro osservazioni. Era stato per loro un apprendimento giocoso sulla terribile verità della guerra. Un quadro così importante, per quanto difficile da spiegare, ai bambini era diventato chiaro, era divenuto loro.

Bibliografia:

Kant, I. (2011). Critica della facoltà di giudizio. Milano: Einaudi.

Munari, B. (2022). Da cosa nasce cosa. Bari: Laterza.

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